lunedì 16 dicembre 2013

Brahmacharya



Tratto da Yama, Niyama, Brahmacharya
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB, BS (Syd)


Il concetto di brahmacharya è uno dei meno compresi nell’ambito degli yama e niyama. Si dice che la continenza doni virya, coraggio e forza irriducibili ma si pensa anche che si riferisca al celibato o all’astinenza assoluta dal pensiero e dalla pratica sessuale.  Anche se l’astinenza sessuale è un aspetto maggioritario del brahmacharya, ne è solo una parte ed è una delle cose più difficili da controllare. Si potrebbe definire come la porta che conduce al controllo dei sensi perché la sua padronanza facilita il controllo delle altre attività sensuali che ci permette di entrare nel territorio del pratyahara, il ritiro dei sensi.
Brahmacharya è soprattutto un atteggiamento mentale nei confronti degli aspetti sensuali; il suo significato letterale è quello di rivolgere la mente verso l‘assoluto e di conseguenza allontanarla dall’indulgenza sensuale. Questo stato implica che, nello stato perfetto, quando siamo assorti nella coscienza più alta, la beatitudine e la conoscenza spazzeranno via il desiderio di attività sessuali e sensuali in quanto sperimenteremo uno stato di maggiore appagamento.
Sri Nisargadatta Maharaj ha riassunto lo stato di brahmacharya quando ha detto:”Il mio mondo è come il tuo. Io vedo, sento, penso, parlo e agisco in un mondo che percepisco come te. Ma per te è tutto, per me, è quasi niente…la realizzazione, il piacere e il dolore hanno perso la loro influenza su di me. Mi sono liberato dal desiderio e dalla paura. Mi sono ritrovato pieno, bisognoso di niente”.
Questo stato è libero dal bisogno di indulgere sensualmente. Sulla strada verso questo stato la pratica dell’astinenza sessuale è necessaria in modo che la mente non sia continuamente distratta dal pensiero del cibo, del sesso e da altri piaceri; in questa maniera potremo essere più consapevoli del nostro appagamento interiore. Tutto ciò non significa che non dobbiamo assecondare i nostri bisogni sensuali ma non dovremmo lasciarci prendere dal senso di colpa e dalle reazioni di uno stato mentale negativo. Se questo si manifesta, è molto meglio assecondare le richieste del corpo. 

Il pericolo della repressione

Molte persone soffrono inutilmente nel tentativo di padroneggiare brahmacharya. L’attività sessuale è molto potente, è un bisogno biologico al quale sono legate le emozioni più forti. I buddisti dicono che l’istinto sessuale è attivo prima della concezione e della nascita e che determini la selezione dei futuri genitori e del genere durante lo sviluppo embrionale. Ogni tentativo di dominarlo richiede coraggio e determinazione. Si dice sia una forza talmente potente che tentare di padroneggiarla possa essere come attaccarsi alla coda di una tigre.
Un’altra sofferenza inutile è quella legata ai sensi di colpa, alle nevrosi e ai complessi che riguardano l’energia sessuale. Chi si sente in colpa ogni volta che ha un pensiero sessuale, chi ha paura di diventare debole a causa dell’emissione di seme, può trovare sollievo nell’idealizzare ciò che brahmacharya immagini che sia. Ma, se il desiderio ardente sussiste, questo interferirà con i sistemi ormonale e nervoso e causerà risposte fisiche che non saremo in grado di fermare o reprimere in quanto ogni tentativo a tal riguardo tenderà ad indebolire lo stesso sistema nervoso e genererebbe un circolo vizioso di sbilanciamento mentale, malattia, psicosi che alla fine sarà impossibile gestire.

Primi passi nel brahmacharya

I primi passi nel brahmacharya andrebbero fatti una volta consolidate le pratiche di base previste da asana, pranayama , tecniche meditative, di concentrazione e di rilassamento.
Asana e pranayama rilassano il sistema nervoso e riducono l’eccitazione sessuale permettendoci di migliorare il controllo di nadi e nervi ottenuto attraverso le pratiche meditative. Meditazioni semplici come yoga nidra per il rilassamento, antar mouna per sviluppare il distacco e la capacità del testimone, disinnescano la risposta emozionale del pensiero. In questo modo, noi penseremo con la corteccia frontale del cervello senza coinvolgere l’emotività nel sistema limbico e di conseguenza non stimoleremo l’attività del sistema nervoso autonomo o delle ghiandole endocrine. In pratica potremo pensare a ciò che vogliamo senza esserne coinvolti.
La formula di base del brahmacharya è: lavora duro, mangia di meno, dormi di meno.
Anche se Freud ha detto che una filosofia del genere lavora sulla sublimazione del desiderio sessuale verso altri scopi creativi, c’è molto di più. Lavorare sodo significa usare la propria energia in modo da essere così stanchi da fare qualsiasi altra cosa, le nostre menti risulteranno così impegnate da problemi, responsabilità e pensieri che non penseranno più all’attività sessuale.
Questo non è abbastanza per il brahmacharya perché molte persone pensano che se devono lavorare duro devono anche sostenersi mangiando molte proteine e cibi ricchi di grassi ma, così facendo, aumentano il loro bisogno sessuale invece di ridurlo.
Il cibo è una parte molto importante del brahmacharya essendo il cibo stesso una fonte primaria per la soddisfazione dei piaceri sensuali che accende allo stesso tempo il fuoco del desiderio sessuale. Nel brahmacharya, il cibo deve essere insipido, libero da stimolanti come te e caffè, aglio, cipolla e spezie di vario genere. La dieta deve contenere poche proteine soprattutto derivate da carne, pesce e prodotti caseari. La ghiandola pituitaria richiede proteine e vitamine E e B per la produzione di ormoni quindi se mangiamo meno proteine produrremo meno ormoni e le proteine assimilate saranno usate per i bisogni più necessari.
La dieta di uno yogi è più ricca di carboidrati che grassi e proteine soprattutto sotto forma di cereali integrali. Questo stimola nel cervello il rilascio di serotonina che quando entra in circolo riduce l’eccitazione sessuale favorendo stati simili a quando sogniamo e forse favorendo anche l’esperienza visionaria interna.
Una dieta simile non ferma l’attività sessuale ma riduce gli effetti che questa esercita sulla mente.  La dieta non è tutto e va combinata con altre pratiche di yoga e con la consapevolezza di cosa sia lo scopo della disciplina. Tutto ciò va bilanciato con il celibato che non è fine a se stesso ma uno strumento per ridurre le distrazioni che ci allontanano dall’obiettivo finale.
L’attività sessuale non è un peccato.
Gli yama e niyama, quando si basano su pratiche yogiche ben sviluppate, diventano promemoria dai quali possiamo attingere equilibrio ogni volta che la mente attraversa crisi, desideri, passioni, emozioni intense, odio e così via. Tutti gli aspetti devono essere approcciati con la consapevolezza dei nostri limiti e dobbiamo sempre ricordare che anche se falliremo molte volte, con la costanza, avremo successo.
Il fine ultimo degli yama e niyama non è quello di imporre un sistema etico e morale che renderebbe la vita noiosa e tediosa e le nostre menti rigide ma quello di affievolire il potere delle nostre passioni in modo da canalizzare l’energia nel risveglio della kundalini e verso una coscienza superiore.
A quel punto yama e niyama si trasformeranno da una forma di sadhana in una realizzazione che aprirà le porte verso la libertà e la gioia.



giovedì 5 dicembre 2013

Mahasamadhi

Tratto da “Sannyasa  -Cultivating Spiritual Awareness-“  di Swami Niranjanananda Saraswati

Il 5 dicembre del 2009, il nostro guru, Sri Swami Satyananda Saraswati, è entrato in mahasamadhi.
Il 2 dicembre si era appena conclusa la cerimonia di Yoga Purnima dove Sri Swamiji aveva detto che stava ancora aspettando il suo biglietto di ritorno e che non se ne sarebbe andato fino a quando non gli fosse stato garantito.
Tre giorni dopo, alle 10.30 di notte, chiamò Swami Satsangi e disse: “Ho ottenuto il mio biglietto di ritorno e andrò via oggi”. Quando gli fu chiesto di essere più preciso sulla data, Swamiji rispose:”Ora”.
Swami Satsangi lo raggiunse a casa e lo vide seduto in meditazione. Ad un certo punto, lo vide unire le mani in preghiera e dire: “Dio, io sono pronto. Prendimi.” Dopo di che, Swamiji bevve alcuni sorsi di acqua del Gange, mise delle  foglie di tulsi in bocca, si abbandonò sempre di più alla meditazione e lasciò il suo corpo recitando l’Om.
Ancora una volta, Sri Swamiji ci ha impartito una lezione insegnandoci  come morire in un modo yogico in quanto, per lui, la morte era al pari della celebrazione della vita.
Prima di ritirare tutto il prana e lasciare il corpo, emise un suono con la bocca, un suono che si fa solitamente durante i matrimoni nel Bengala e anche in alcune tribù aborigene. La lingua colpisce velocemente e ripetutamente il palato superiore e genera il suono ulu-ulu-ulu. In Bengala, questa usanza  viene appunto chiamata “fare ulu” e significa che sta  per aver luogo l’unione fra due persone. Sri Swamiji fece questo suono proprio prima di lasciare il suo corpo per indicare che la sua anima  si stava per congiungere con l’Anima Superiore.
Leggiamo di yogi, rishi e siddha in grado di rinunciare al loro prana con la volontà ma ad oggi lo abbiamo solo sentito, nessuno li ha realmente visti. Sri Swamiji ci ha invece fornito la prova che quello che è stato scritto nelle pagine di storia è vero ma naturalmente, per lui, non è stato così difficile in quanto era proprio una persona fuori dal comune.


domenica 24 novembre 2013

Yama, Niyama, Brahmacharya

Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB, BS (Syd)


Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi sono gli otto stadi della disciplina yogica. Non-violenza, verità, onestà, continenza e non-possesso sono i cinque yama (restrizioni). Purezza, appagamento, austerità, studio di sé e abbadono al Divino sono i niyama (prescrizioni).
Yoga Sutras, 11:29, 30, 32

Uno degli ostacoli più grandi per una profonda comprensione dello yoga è nel concetto di yama e niyama così come è esposto negli Yoga Sutra di Patanjali.
Molta gente raccoglie le parole dei grandi Maestri e dopo averle analizzate intellettualmente pensa di avere progredito nella pratica dello yoga. Ma questo è solo un altro inganno della mente in quanto una simile conoscenza diventa una vera barriera che ostruisce una comprensione più ampia.
Nell’approcciare un libro vasto come quello di Patanjali dobbiamo cercare di avere una visione globale e non periferica. Quando nel primo sutra afferma, “E adesso le istruzioni che riguardano lo yoga”, stabilisce implicitamente che l’aspirante sia già ben consolidato nella pratica del karma e dello bhakti yoga, che abbia già messo ordine nel suo stile di vita, nelle sue emozioni e nella sua vita intellettuale.
I primi anni di yoga devono comprendere asana, pranayama e hatha yoga; devono essere anni in cui noi cerchiamo di lasciare andare i nostri preconcetti e nei quali ci apriamo in modo da aspirare ad una conoscenza vera, basata su esperienza e analisi interna. Solo dopo questo, potremo realmente comprendere le definizioni di asana e pranayama di Patanjali;  una postura ferma e confortevole che può essere mantenuta per ore senza bisogno di muoversi e pranayama inteso come cessazione dell’inspiro e dell’espiro.

Gli otto stadi dello yoga
Nell’approcciare gli otto stadi del raja-yoga dobbiamo mettere da parte l’intellettualizzazione, l’analisi, l’approccio lineare e vedere il tutto come un insieme organico.
Un approccio corretto è decisamente più appropriato perché la perfezione negli yama e niyama può esserci solo se c’è il samadhi. Un completo appagamento e l’abbandono al Divino, per esempio, sono il risultato della trascendenza e non la causa.
Possiamo iniziare praticando yama e niyama ma puntualmente dobbiamo sottoporli ad un lavoro di valutazione. Quando progrediamo dal punto di vista yogico, padroneggiando le pratiche di asana e pranayama e accedendo agli aspetti più interiori di pratyahara, dharana e dhyana, possiamo capire meglio come lavorano yama e niyama.
Gli otto stadi del raja-yoga non fanno parte di un percorso lineare ma lavorano contemporaneamente come parti integranti di un organismo che è appunto il raja-yoga. Tutto va elaborato e padroneggiato allo steso tempo. Questo è il motivo per cui Patanjali afferma che praticando tutte le parti previste dalla disciplina yogica, le impurità diminuiscono fino a quando sarà possibile il risveglio della conoscenza spirituale che culmina nella consapevolezza della realtà. (Y.S., 11:28).
Possiamo dire che gli otto stadi del raja-yoga hanno due aspetti, il primo è quello relativo alla pratica, il secondo alla realizzazione. Patanjali dice che quando si pratica yama a prescindere dalla nascita, dal luogo, dal periodo e dalle circostanze che ci riguardano, questo diventa una disciplina importante che produce risultati auspicabili come la cessazione di tutte le ostilità intorno a chi pratica ahimsa, non-violenza, e la consapevolezza di come e da dove nasciamo, supportato da aparigraha, la capacità di non accumulare. (Y.S., 11:31, 35, 39).

Il sentiero verso il traguardo
Sul sentiero che conduce al successo di yama e niyama, si possono incontrare molti ostacoli. Convinzioni errate, disturbi mentali, passioni, avidità, rabbia, confusione e vecchie abitudini tendono ad imporsi e ad inibire questo processo specialmente se manca la forza di volontà e la determinazione o se il nostro desiderio di progredire spiritualmente è debole.
Patanjali dice che i disturbi che intralciano il cammino possono essere lievi, medi o intensi e che possono essere superati con “pratipaksha bhavana” ovvero pensando l’opposto. (Y.S., 11:33, 34). Per esempio, se desideriamo qualcosa, questo disturberà la nostra mente e il nostro sistema nervoso e ci farà comportare in modo contrario a quanto previsto da aparigraha. Se, a causa di questo, ci sentiamo in colpa o frustrati perché non riusciamo ad ottenere il risultato desiderato e poi proviamo a sopprimere il desiderio, questo ritornerà ancora più forte andando ad aumentare i nostri disturbi mentali.
La soppressione consuma energia fisica e mentale e può portare ad un vero e proprio disagio fisico-mentale. Patanjali ci avverte di usare creativamente la nostra attività mentale mettendo energia nello sforzo di creare una visione positiva che si opponga all’ostacolo, al disturbo manifestato. In questo modo, svilupperemo l’abitudine al pensiero positivo, creativo, e svilupperemo una calma che contrasterà l’eccitazione e l’esaurimento del nostro sistema nervoso.
Ciò che bisogna ricordare è che il progresso in yama e niyama deve essere necessariamente lento e che il successo arriverà nel futuro. Gandhi, per esempio, ha trascorso l’intera vita nello sforzo di padroneggiare la non-violenza e brahmacharya. Anche il nostro approccio deve essere lento, fermo e bilanciato, deve essere preso da una giusta prospettiva. La guida di un maestro esperto, la pazienza, la tolleranza nei confronti del fallimento, l’onestà con se stessi e la persistenza sicuramente sfoceranno nel progresso se non nella padronanza.


martedì 12 novembre 2013

Sperimentazione e ricerca



Tratto da La crescita di Satyananda Yoga o Bihar Yoga
Swami Niranjanananda Saraswati – pubblicato su Yogamag numero di gennaio 2000

Il tema centrale dello yoga Satyananda/Bihar è quello della sperimentazione e della ricerca. Quando Sri Swamiji si trovava a Rishikesh da Swami Sivananda, non si fermò agli insegnamenti del suo maestro ma studiò le scritture in modo da avere una visione completa dei diversi sistemi e delle diverse scuole. Sri Swamiji ha sempre detto:”Prima si sperimenta, poi si adotta”.

Iniziò a sperimentare con la  consapevolezza delle scritture e fornì un approccio pratico iniziando dalle asana. La serie di pawanmuktasana, gli shakta bandha e la suddivisione delle asana furono create nel primo periodo. Subito dopo sviluppò i metodi di pranayama che oggi sono adottati in tutto il mondo.

Sri Swamiji riscoprì molte meditazioni tantriche che insegnava alle classi sotto forma di antar mouna, ajapa japa, trataka, chidakasha dharana, prana vidya e yoga nidra. All’inizio sperimentava queste pratiche sugli swami e io ho avuto l’onore di essere stato sottoposto ai suoi esperimenti di yoga nidra fin da piccolo. Sri Swamiji sperimentava, osservava e solo dopo scriveva, solo dopo aver costatato di prima persona gli effetti di ogni singola pratica proposta.

Tutti i libri della Bihar School of Yoga sono il risultato di esperimenti condotti da lui all’inizio della sua ricerca. Nel testo Yoga Nidra, sono stati rivelati tutti i livelli diversi di yoga nidra in accordo con il sistema tantrico del nyasa. La serie di meditazioni pratyahara, i livelli di antar mouna, ajapa japa e prana vidya, le pratiche di kriya yoga e kundalini yoga sono tutte contenute nei testi pubblicati dalla Bihar School of Yoga.

Sri Swamiji fu la prima persona a scrivere un opus magnum sul kriya yoga che fino ad allora rimaneva un soggetto tabù insegnato solo in segreto a pochi individui selezionati. Non solo, lui ha rotto questo tabù ma ha reso disponibile l’intero processo del kriya yoga in un corso di tre anni distillando l’essenza delle pratiche, definendole e mettendole in una sequenza precisa.
Sri Swamiji fu il primo a spiegare il ruolo di mudra e bandha in modo scientifico. Fino ad allora erano letteralmente solo dei concetti e nessuno aveva mai fatto il tentativo di spiegarli praticamente. Le pubblicazioni Moola Bandha: The Master Key, Hatha Yoga Pradipika, Yogic management of Asthma e Diabetes and Yogic Management of Common Diseases sono un esempio della profonda conoscenza che lui ha trasferito ai suoi discepoli sannyasin. Tutti questi libri convergono tutto il pensiero che sta alla base della missione yogica.

Quando nel 1963, Sri Swamiji fondò la Bihar School of Yoga nel vecchio Ashram di Sivananda a Munger, condusse una serie di corsi per insegnanti dai nove mesi ad uno che durava un solo mese. Il suo desiderio era quello che la gente potesse ottenere una comprensione profonda dello yoga attraverso l’esperienza e l’integrazione della stessa nello stile di vita, nel pensiero, nell’ambiente. La gente iniziò ad arrivare da ogni parte del mondo: Australia, Giappone, Europa, U.K., Nord e Sud America e anche dall’India stessa.

In questi corsi, Sri Swamiji fu ispiratore del concetto di investigazione scientifica applicata alla pratica dello yoga. La prima ricerca sulle asana fu condotta in Polonia nel 1968 da T. Pasek e dal Dott. W. Romanowski del Dipartimento di fisiologia dell’Accademia di Educazione Fisica di Varsavia.  Lo studio si concentrò su asana principali tra cui sirsasana e sugli effetti che queste avevano sull’anatomia umana, sul cervello, sui sistemi cardiocircolatorio, respiratorio e digestivo; i metodi utilizzati erano fisiologici, biologici e psicologici.

Contemporaneamente, Sri Swamiji stimolò la ricerca yogica nel Bihar e nel 1968 il Dott. Sreenivas, Direttore dell’Istituto di Malattie Cardiocircolatorie Indira Gandhi di Patna, condusse una ricerca di sei mesi sugli effetti dello yoga nel limitare e invertire il percorso di malattie cardiache; i risultati sono stati poi pubblicati su The Effects of Yoga on Hypertension.
Nel 1978, una ricerca sugli effetti sulle malattie legate al sistema respiratorio fu condotta dal Raipur Medical College con l’assistenza di Satya Darshan Yogashram e la supervisone di Sri Swamiji. Ricerche sugli effetti dello yoga sulle malattie della pelle fu condotta da un college ayurvedico in Raipur sempre sotto la guida di Satyananda mentre nel 1978 il Burla Medical College di Sambalpur, Orissa, condusse una ricerca sulla gestione del diabete con lo yoga che coinvolse centinaia di pazienti ad Orissa, nel Bihar e nel Bengala. Tale studio portò ad una conclusione, che diabetici non dipendenti dall’insulina potevano essere curati e facilmente gestiti con l’ausilio delle pratiche yogiche.

Lo yoga, fino a questo momento, era sempre stato insegnato per i benefici fisici e per modellare il corpo ma quando i risultati di queste ricerche iniziarono a diffondersi, l’idea dello yoga cambiò radicalmente. Altre organizzazioni indipendenti iniziarono anche loro a condurre ricerche specifiche; un contributo notevole fu quello di Swami Rama dell’Himalayan Institute degli Stati Uniti, che era in grado di fermare il battito del suo cuore per lunghi periodi di tempo. Sempre dagli USA arrivò un altro contributo, quello di Swami Nadabrahmananda, capace di rimanere in kumbhaka (ritenzione del respiro) per quarantacinque minuti in una camera ermetica mentre suonava la tabla. Anche in India, molti swami si sottoposero ad esperimenti scientifici che condussero a sviluppi incoraggianti e significativi per la comprensione dello yoga sotto questo aspetto.

Allo stesso modo, dopo aver visto i risultati delle ricerche sui disturbi respiratori, cardiaci, digestivi, muscolari, delle ossa e del sistema nervoso, molti istituti medici indiani decisero di adottare il sistema yoga. Nel 1993, il governo del Bihar incluse lo yoga nel sillabario MBBS. Alla Bihar School of Yoga fu chiesto di insegnare yoga terapia in otto istituti medici governativi del Bihar. Per due anni, medici e swami della Bihar School of Yoga insegnarono yoga terapia agli studenti di medicina di diversi college. Il ramo del Bihar dell’Indian Medical Association raccomandò alla sede di Nuova Delhi, l’Indian Medical Council, l’inclusione dello yoga nel sillabario MBBS. Al momento, questa raccomandazione è ancora in fase di considerazione. Il governo del Bihar ha anche ufficialmente permesso di istruire giovani medici nel loro praticantato secondo i principi e le pratiche di yoga terapia attuati presso la Bihar School of Yoga.

Inoltre, il Dipartimento della Salute del governo del Bihar ha identificato una serie di malattie che possono essere gestite con le pratiche semplici di asana, pranayama e e shatkarma. Questa lista è dettagliata nel libro Yogic management of Common Diseases.
Sri Swamiji era solito incoraggiare ogni insegnante di yoga nell’individuare un’area in cui specializzarsi, creando così molti esperti in settori particolari dello yoga. Nel corso dei tempi, l’intensità della ricerca scientifica è aumentata; in Australia, il dott. Swami Shankardevananda si è dedicato alla serie di pawanmuktasana e nello specifico al movimento muscolare che avviene quando si fa un’asana; in Canada, Swami Arundhati sta attualmente conducendo una ricerca sui livelli della pressione sanguigna durante gli shatkarma.

Anche quando Sri Swamiji ha lasciato l’ashram nel 1988, ci ha incoraggiato a portare lo yoga in diversi settori sociali; nel 1994 gli swami della Bihar School of Yoga si sono dedicati ad uno studio che coinvolgeva l’esercito; gli swami furono portati al campo base del ghiacciaio Siachen dove sperimentarono le condizioni alle quali erano sottoposti i soldati ed individuarono un programma di yoga adatto a fronteggiare la situazione. La stessa cosa fu fatta a Bikaner, nel Rajasthan dove si confrontarono con il deserto. Questo ha fatto sì che l’esercito abbia poi deciso di istruire un’ unità di soldati con le pratiche yogiche per poi metterli a confronto con le unità sottoposte a training standard. Anche se il progetto non è ancora partito, l’esercito ha rinnovato l’interesse ad attuarlo nel futuro prossimo.
Nel 1994 fui invitato a Parigi all’International Education Conference organizzata dal RYE. L’argomento che interessava me era quello all’applicazione dello yoga in un ambiente scolastico ed è stato un successo al punto  che rappresentanti di 17 paesi hanno deciso di introdurre lo yoga come parte del sistema educativo.

Sempre nel 1994, è stato avviato il progetto che riguarda 24 prigioni del Bihar e da allora ogni anno si tengono al loro interno training lunghi un mese. Nel 1996 avevamo già istruito 450 ergastolani che hanno ricevuto la certificazione ufficiale da parte della Bihar School of Yoga e che ora insegnano regolarmente yoga agli altri carcerati. La cosa sorprendente è che il governo del Bihar ha deciso di ridurre la pena a tutti coloro che dimostrano interesse nello yoga.

Lo yoga è stato portato anche nel campo dello sport e nel 1999 una serie di programmi di training sono avviati con la collaborazione dell’autorità sportiva indiana sia a Calcutta che a Delhi.
E’ cosi che il lavoro di ricerca di Sri Swamiji continua ancora oggi e molti progetti sono allo studio per essere avviati.
Un progetto che coinvolge tutti gli swami è Sita Kalyanam che si tiene ogni anno a Rikhia, il tapobhumi (luogo del sadhana) di Swami Satyananda. Sivananda Math, un’istituzione caritatevole creata da Sri Swamiji nel 1984 ha adottato un intero panchayat (distretto) a Rikhia con molti paesi e circa diecimila famiglie. Ogni anno, tutte le famiglie vengono fornite con vestiti, casalinghi, oggetti per uso personale, sociale e vengono sostenuti con abitazioni, lavoro e un sistema educativo e sanitario altrimenti assente. Fare parte di queste attività è compreso nel sadhana di tanti swami.

Questa discussione riflette l’energia che Sri Swamiji ha infuso nel sistema del Satyananda/Bihar Yoga che va detto, è differente da altri sistemi anche perché è un sistema che si evolve, è una scuola dove si sviluppano i concetti. Quando lo yoga diviene parte dell’ambiente umano, delle necessità umane ed eventualmente anche della cultura, allora diventa universale e dinamico, progressivo e ispirante. E’ yoga che si evolve. Le antiche tradizioni sono continuamente un riferimento ma quello che viene fuori da loro è ampliato fino a comprendere l’intera natura umana.





sabato 2 novembre 2013

La crescita di Satyananda Yoga o Bihar Yoga



di Swami Niranjanananda Saraswati: pubblicato su Yogamag numero di gennaio 2000 


Per capire la crescita e lo sviluppo della tradizione di Satyananda Yoga, conosciuta anche come tradizione Bihar Yoga, dobbiamo comprendere quali sono le componenti e che cosa la renda una scuola specializzata nell’intera tradizione dello yoga.
Cinquant’anni fa, il lato filosofico dello yoga era conosciuto da un numero ristretto di persone ma nessuno conosceva il lato pratico. Si credeva che lo yoga fosse per rinunciatari, sadhu e sannyasin che avevano rinunciato a tutto e avevano abbandonato la vita mondana per vivere in contemplazione, meditazione, riflessione, introversione e isolamento; quel modo di raggiungere la salvezza non poteva essere adottato da persone comuni inserite nella società in quanto, nella vita, avrebbero dovuto rinunciare alla maggior parte degli attaccamenti, desideri, ambizioni e sforzi. Lo Yoga era conosciuto solo come filosofia, come forma di disciplina che poteva essere utilizzata per rafforzare lo spirito, la mente, il corpo e la vita. Nel secolo scorso, il sapere teoretico fu diffuso al pubblico da Swami Vivekananda, Sri Aurobindo, Ramana Maharishi, Swami Kuvalyananda, Baba Ram Das, Swami Sivananda, Yogi Ramacharaka e altri.

Tutti questi maestri seguirono tradizioni e scuole di yoga già consolidate che si dividevano in scuola del Nord e scuola del Sud. La prima era quella insegnata e praticata dai rishi e muni della cintura del Gange, cintura del Narmada e Himalayana. La seconda, era relativa allo yoga praticato dai gruppi di sadhu, santi, rinunciatari e reclusi, mistici e siddha del Sud. Oggi, il maggiore esponente di questa scuola è T. Krishnamacharya, il maestro di Deshikachar e Iyengar. Così come gli hatha yogi, la scuola meridionale pensa che la perfezione ultima sia raggiungibile ottenendo una forma fisica perfetta

La scuola del Nord è più meditativa affondando le sue radici negli Yoga Sutra di Patanjali dove l’enfasi è sulla gestione della mente, del pensiero e la parte di hatha yoga viene menzionata di meno. All’interno di questa scuola, ci sono diversi paramapara, tradizioni e culture che riguardano l’hatha yoga, il kriya yoga, il kundalini yoga, ci sono raja yogi, jnana yogi e bhakti yogi. Tutti gli yogi hanno in comune una cosa: lo yoga, una pratica e una disciplina attraverso la quale è possibile rafforzare la propria natura per realizzare lo spirito umano e che permette di svegliare il potenziale latente in modo da diventare un essere umano perfetto e bilanciato in una o migliaia di espressioni che coinvolgono la vita.
Lo yoga ha due origini, una proviene dal Tantra e una dai Veda. Il Tantra ha sviluppato una filosofia e una serie di pratiche che nella tradizione sono conosciute come yogachara, condotta per gente che pratica il tantra attraverso lo yoga. I Veda, invece, attingono alle Upanishad. Ognuna di esse rappresenta una linea di apprendimento, una tradizione, un parampara. Lo yoga diventa il processo che porta al superamento di corpo e mente e all’esperienza dello spirito.

Solo negli ultimi cinquant’anni i sadhu più visionari hanno capito che lo yoga sarebbe diventato un bisogno per la società del futuro. Nella scuola del Nord, il precursore di questa visione fu il nostro paraguru, Swami Sivananda che diede allo yoga una svolta dinamica, attingendo dalla filosofia per mettere poi il tutto in pratica. Il Dashnami sannyasa parampara al quale apparteniamo segue una tradizione vedica non yogica e all’inizio degli anni quaranta iniziò ad istruire i sannyasin con un sistema pratico comprendente hatha yoga, raja yoga, bhakti yoga, jnana yoga, kriya yoga, kundalini yoga, mantra yoga e ogni altro yoga estratto dalle scritture. Swami Sivananda diede la possibilità di comprendere lo yoga a tutti, non solo a sannyasin e yogi ma anche a gente comune.

I suoi insegnamenti erano così ispiratori che molti sannyasin provenienti dal suo ashram ricevettero il mandato di propagare lo yoga enfatizzandone un aspetto particolare. Swami Satchidananda che negli USA fondò il Movimento di Yoga Integrale, si concentrò sulle componenti dell’hatha yoga, jnana yoga e bhakti yoga. Swami Vishnudevananda, il cui centro principale si formò in Canada, si focalizzò nello stabilire e fondare molti Centri Vedanta Sivananda per l’insegnamento dell’hatha yoga. Swami Venkateshananda insegnò raja yoga nell’isola di Mauritius.

 Il nostro guru, Swami Satyananda il cui mandato comprendeva anche di insegnare yoga come parte del suo sadhana, enfatizzò lo yoga integrale e altre componenti provenienti dagli altri yoga ma con maggiore enfasi si dedicò allo yoga tantrico.
Il sistema di yoga tantrico comprende le pratiche di kundalini yoga, kriya yoga, mantra yoga, laya yoga e stadi avanzati di pratyahara e dharana, dhyana e samadhi. Dal lato vedico, Sri Swamiji prese elementi di bhakti yoga, karma yoga, jnana yoga ,il concetto dei chakra e sviluppò un sistema di meditazione basandosi sul Tantra e sui Veda (vedi libro Meditations from the tantras – 1974). I primi insegnamenti furono pubblicati nel 1971 in un libro chiamato Tantra Yoga Panorama dove Sri Swamiji esponeva i concetti del tantra applicabili ai bisogni della società moderna.
Swami Satyananda ispirò la gente a fare i conti con se stessa attraverso un atteggiamento corretto e discriminatorio, attraverso azioni e parole che avrebbero portato ad una trasformazione della personalità umana. La fondazione della Bihar School of Yoga da parte di Sri Swamiji fu il coronamento di un desiderio di Swami Sivananda, quello di sviluppare un percorso yogico integrato. Sri Swamiji fu un pioniere nel portare lo yoga ad un pubblico ampio e nel rompere vecchi miti, fuori dall’India il Bihar Yoga è conosciuto come la tradizione di Satyananda Yoga.


Il metodo di insegnamento di Sri Swamiji

Quando Sri Swamiji lasciò Rishikesh nel 1956 con il mandato e la benedizione del suo guru Swami Sivananda, iniziò a viaggiare per tutta l’India con l’obiettivo di comprendere i bisogni della società. Viaggiò dall’Afghanistan allo Sri Lanka, dal Pakistan a Burma, cercando di verificare cosa avesse bisogno la società. Sri Swamiji capì che la tradizione vedantica, come filosofia, non sarebbe stata in grado di aiutare la società in quanto aveva bisogno di fondamenti pratici rintracciabili nel tantrismo espresso attraverso lo yoga. Sri Swamiji riuscì a valutare il fatto che lo yoga sarebbe diventato un grande bisogno per la gente, non come mezzo di salvezza ma come possibilità per ottenere sollievo immediato per qualsiasi sbilanciamento psicosomatico che avrebbe aggravato la salute fisica, mentale, emotiva, morale e spirituale.

Sri Swamiji individuò due approcci per ottenere benessere in un modo positivo, per sviluppare un carattere integrato, aperto e bilanciato e per incoraggiare la gente a guardare in faccia la vita. Il primo approccio è quello di capire la natura umana, la mente, la psiche e lo spirito attraverso le pratiche del raja yoga; superare gli ostacoli immediati come la frustrazione e l’ego e sviluppare azioni omogenee e armoniose attraverso il karma yoga; canalizzare le emozioni con il bhakti yoga; essere capaci di guardare dentro e fuori con pace mentale con lo jnana yoga; andare a fondo nel sadhana con il kriya yoga, il kundalini yoga, il nada yoga, lo swara yoga, il mantra yoga e tutte le altre forme di yoga conosciute.

Per Sri Swamiji, questo approccio fondamentale andava arricchito con lo stile di vita, la capacità di guardare la vita con occhi diversi, di vedere il dolore e la sofferenza come indicatori dello sforzo umano legato al proprio karma. L’insegnamento e l’istruzione dello stile di vita prese anche altre forme con l’incoraggiamento di incorporare lo yoga nella vita quotidiana e non solo relegarlo ad espediente per trovare sollievo in una situazione stressante. In questo modo, proponeva uno stile di vita alternativo rinfrescando la tradizione dei sannyasin, enfatizzando il diritto spirituale di ogni individuo di diventare appunto sannyasin in questa vita. Con questo, Sri Swamiji portò molte persone ad integrare lo yoga nel proprio quotidiano, fornì a molti un aiuto concreto insegnando lo yoga come terapia e come mezzo per raggiungere la pace interiore nel rispetto della diversità di ogni essere umano. La sua idea era che lo yoga potesse essere applicato a chiunque.
Nella sua prima conferenza che si tenne a Munger nel 1964, Sri Swamiji disse: “Munger diventerà il centro dello yoga per il mondo intero e troverà così un posto sulla mappa del mondo” Molte persone si chiesero se stesse dicendo la cosa giusta e oggi hanno avuto risposta.

Sri Swamiji aveva un metodo particolare per insegnare alla gente di paesi diversi, di razze diverse e di credi diversi. Fu il primo insegnante di yoga indiano che andò in Occidente per proporre lo yoga in un modo molto specifico. Nel 1968 Sri Swamiji iniziò il suo primo tour mondiale. Per sei mesi lasciò Munger e piantò i semi dello yoga al di fuori dell’India. Non solo parlò della teoria dello yoga con termini pratici e scientifici rendendola comprensibile a tutti ma diede un insieme di pratiche yogiche in modo che la gente potesse farne esperienza. Nei tour successivi rese disponibili altre pratiche e principi in modo da ampliare la conoscenza dello yoga in relazione al corpo umano, alla mente, alla psicologia, alla personalità e al miglioramento delle qualità umane.

Il piano che Sri Swamiji attuò fu quello di insegnare yoga in ogni viaggio, asana, pranayama, mudra, bhanda, shatkarma, teniche di prathyara, di kundalini yoga, tecniche relative ai chakra , di scardinare i preconcetti che la gente aveva sullo yoga e, allo stesso tempo, incoraggiandoli e dando speranza. Prima di lui, nessuno aveva mai insegnato pranayama in quanto considerato materia tabù sia in Europa che in India.
I suoi insegnamenti ci hanno fornito di una materia molto vasta senza che fosse vista come impossibile da affrontare ma, se ci pensiamo bene, è più che sufficiente per un’intera vita. Io attribuisco allo sforzo di Sri Swamiji il fatto che a tutto il mondo sia stata fornita la possibilità di approfondire la conoscenza dello yoga. Il suo stile unico trattava lo yoga sotto ogni aspetto, fisiologico, psicologico e spirituale. Sri Swamiji vedeva la persona non come corpo ma composta dalle qualità di testa, cuore e mano, intelletto, emozione ed azione e cercava quindi di accedere a tutte le tre dimensioni. Chi ha ricevuto questo training è stato molto fortunato. Oggi, noi riconosciamo che fra tutte le tradizioni di yoga, il Satyananda/Bihar Yoga è l’unico che integra le dimensioni fisiche, psicologiche e spirituali in ogni pratica.




mercoledì 23 ottobre 2013

Lo yoga dello sconforto

Tratto da Bhagavad Gita
Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark on 14th March, 1971



Il primo capitolo della Gita si chiama “Lo yoga dello sconforto”. Ci sono molti tipi di yoga: hatha yoga,bhakti yoga, karma yoga, tantra yoga, nada yoga, gyana yoga e così via, ma avete mai sentito lo yoga dello sconforto, del disappunto, della frustrazione e del collasso? Lo yoga non ha inizio quando girate la mala ma quando tutto sembra pesantemente contro di voi, quando, nella vostra vita, state affrontando dei problemi. Fino a quando la vostra anima non incrocia il conflitto, fino a quando la vostra mente non incontra difficoltà e disappunto, entrambe non si attiveranno ma vivranno come un maiale, assolutamente soddisfatto e contento di dormire in continuazione.

Non considerate queste difficoltà e questi problemi come qualcosa che proviene dal mondo esteriore, la Gita non parla di problemi materiali o delle necessità di base della vita come il cibo e gli abiti ma parla degli stessi problemi dell’uomo che tanto fanno discutere gli psicologi ovvero quei problemi radicati così nel profondo che coinvolgono la vostra personalità interiore, che sono profondi tanto quanto le pianure sottoceaniche.

Potete sempre dire che non avete problemi ma io non ci credo perché senza loro, è impossibile esistere. Questa dualità o anime in contraddizione lavorano fianco a fianco in ogni uomo ad esclusione dei saggi illuminati. Quando diventiamo coscienti di queste forze contrastanti, piangiamo ed urliamo perché non sappiamo come eliminarle e invece qui inizia lo yoga.

Non dobbiamo gettare una coperta sopra le nostre debolezze. Sia che siate un uomo bravo o cattivo, un uomo pieno di passione o uno con tendenze criminali, dovete capire cosa c’è dentro di voi. La psicologia moderna ha portato alla nostra attenzione il fatto che nel mondo ci sono migliaia e migliaia di persone che non vogliono sapere cosa sono perché se lo scoprissero ne sarebbero spaventate e terrorizzate. Sia che si tratti della nascita o della morte, di una perdita o di una vincita, di una lode o una critica, passione o rabbia, ogni volta che si verifica qualcosa che vi turba, dovete andare a fondo nella vostra coscienza e scoprire cosa sta succedendo, dovete capire bene. Questo è il secondo consiglio della Gita.

Scoprire e comprendere i propri conflitti non significa eliminarli e per questo è necessario iniziare un sadhana – la parte pratica dello yoga. Nella Gita, il sadhana inizia con il karma yoga, lo yoga dell’azione che significa trasformare il proprio karma e le proprie attività quotidiane in un modo tale che conducano ad un progresso spirituale. Insieme al karma yoga, dovrete praticare raja yoga e poi bhakti yoga e poi ancora gyana yoga in modo da diventare vincitori della battaglia ed eliminare i conflitti radicati nella vostra personalità. Quando la vostra mente sarà completamente libera dall’influenza e dalle associazioni generate dai conflitti, solo a quel punto sarete un uomo liberato – un jivanmukta.

Secondo la Gita, il concetto di liberazione non vuol dire  chiudere gli occhi, ritirare la mente ed entrare nel grande vuoto ma vivere la vita senza esserne travolti mai, in nessun modo, a nessun costo. E’ il distacco nel mezzo dell’olocausto.
Quando affrontate questa vita illogica e particolare, il grande vuoto è completamente eliminato. Nella Gita si dice che la salvezza riguarda l’amore, l’odio, la frustrazione e il compiacimento.

La gente ama pensare “Io sono Brahman, sono pieno di fede, sono parte di quella coscienza” e poi, nella vita di ogni giorno, combatte con la propria moglie. La libertà completa va oltre la dimensione terrena e va però portata nella vita quotidiana, non deve essere relegata nella stanza della meditazione ma deve entrare nella vostra cucina, esprimersi quando lavorate, quando guidate la macchina, quando dovete affrontare una crisi emotiva.
Per far esperienza della libertà totale in ogni ambito della vita, meditare per un’ora non è sufficiente, dovete reindirizzare la vostra filosofia verso una mente in salute, verso una cultura che tenga conto delle nuove dimensioni della coscienza.

La rinuncia non è libertà. Secondo la Gita, l’astensione e il tirarsi indietro dai propri doveri significa vivere la vita a metà. Lo yoga della Gita è conosciuto come purna yoga – lo yoga completo. Se vi trovate bene con il bhakti yoga e pensate che l’hatha yoga sia per la gente malata, che il raja yoga sia per gli swami, che il karma yoga e il gyana yoga non fanno per voi ma che volete solo cantare il nome di Dio e ballare in suo onore state facendo apurna yoga ovvero state facendo yoga ma in una maniera non completa. Bisogna cercare una giusta combinazione di yoga perché la personalità è composta da dinamismo, devozione, misticismo e razionalità. Nella vita, questo è il nutrimento necessario e in base a questo dovete praticare karma yoga per il dinamismo, bhakti yoga per le emozioni e per la devozione, raja yoga o tantra yoga per il misticismo e gyana yoga o Vedanta per la razionalità.

Quando vorrete inserire la filosofia della Gita nella vita quotidiana, vi dovrete ricordare di questi cinque punti. Prima di tutto, lavorate duro; aspettatevi le cose ma se non vengono non disperatevi; siate coraggiosi e buttatevi in nuove avventure.
Qualsiasi tipo di yoga praticate, non dimenticatevi la coscienza centrale o l’Atman dentro di voi. In ultimo, non condannate nessuna fase della vita perché sono tutte fasi di coscienza. Se condannate la vita di qualcuno, un padre di famiglia, un sannyasin, un ubriacone, ecc., generate malattia nella vostra mente.

Nella Gita, Krishna afferma che sia il malato che il delinquente che il santo sono tutti lati diversi della sua evoluzione, angoli diversi della sua grande figura.

Se praticate hatha yoga, karma yoga, bhakti yoga, ecc., con un atteggiamento liberale nei confronti della vita, non solo avrete successo ma otterrete l’illuminazione.
L’appagamento non si ottiene con la conquista ma arriva da un senso di illuminazione che si ottiene con lo yoga. Ognuno di voi deve provare lo yoga perché vi assicuro che se il mondo vi ha deluso, se la vostra famiglia e i vostri amici vi hanno deluso, se anche il vostro corpo e le vostre stesse promesse vi hanno deluso, c’è solo una cosa che non vi tradirà e non vi deluderà mai, lo yoga.


Potete pure prendere questa cosa come una dichiarazione ardita da parte mia.


domenica 13 ottobre 2013

Bhagavad Gita

Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark on 14th March, 1971.


La “Srimad Bhagavad Gita” è conosciuta come Gita e fa parte del grande poema epico “Mahabharata” che significa “La Grande India”. Per molti secoli, questo libro ha segnato le menti dei pensatori e degli uomini di stato indiani e ha coinvolto non un’ora ma un’intera vita della gente indiana. E’ una filosofia che la mente indiana capisce velocemente.

La Gita inizia in un modo drammatico. 5000 anni fa c’erano due rami della stessa famiglia conosciuti come “i Cinque Fratelli” e “i Cento Fratelli”. Questi ultimi erano le autorità che governavano e che cercavano di ottenere il controllo completo del regno rifiutando di condividerlo con gli altri fratelli. Il problema diventò così grande che entrambe le parti si prepararono per una grande guerra che avrebbe così risolto la questione. Quando arrivò il giorno fatidico, i due eserciti si trovarono sul campo di battaglia uno di fronte all’altro. Il comandante dei “Cento Fratelli” era un potente uomo nobile chiamato Bhishma mentre il comandante dei “Cinque Fratelli” era Arjuna, terzo dei cinque fratelli ma eletto al comando perché conosciuto come il guerriero più valoroso.Il cocchiere del suo carro era Sri Krishna, conosciuto come una delle grandi incarnazioni del Signore.

Quando si parla della Gita, dobbiamo fare riferimento a Krishna perché è colui che ha rivelato la Gita ad Arjuna e fino a quando non si conosce tutta la vita di Krishna, il significato della Gita rimarrà oscuro.
Dalla nascita, Krishna non incontrò altro che ostacoli e sofferenze. Giorno dopo giorno, dovette combattere e scontrarsi con nemici di ogni tipo e nonostante ciò, non ci fu un solo giorno che non rise. Nella mitologia indiana, Krishna viene rappresentato come il ragazzo birichino, il giovane che gioca nei campi con i ragazzi e le ragazze mandriani, come un uomo politico che offre consigli da esperto, il guerriero che combatte in battaglia e come il guru che impartisce lezioni di yoga e altre scienze.

Quando entrambi gli eserciti erano pronti per combattere, il virtuoso Arjuna si lasciò prendere da un grande sconforto e quando realizzò che avrebbe ucciso membri della propria famiglia, decise di rinunciare alla battaglia. Qui è dove ha inizio la Gita e dove Lord Krishna interviene dicendo che un uomo deve affrontare la vita, accettarla e combatterla sotto ogni aspetto. Chi si aspetta una vita confortevole e assoggettata alle proprie necessità, è destinato a soffrire in quanto bisogna accettare la vita così come si presenta e ottenere il meglio che può dare attraverso una filosofia, la conoscenza o la fede.
Ogni uomo si adopera per soddisfare le proprie ambizioni e i propri desideri, infatti quando questo succede è felice ma allo stesso tempo ha anche paura di perdere ciò che ha ottenuto e se non ci riesce, è completamente distrutto. Questo è lo scenario da sul quale si sviluppano tutti i problemi della vita, mentali, psicologici e emotivi e questa è la battaglia eterna che si deve affrontare e combattere dalla nascita alla morte.

I Cinque e i Cento Fratelli stanno a rappresentare le due grandi forze conflittuali che coesistono in ogni individuo. Per far sì che l’individuo progredisca, il conflitto è necessario, senza queste forze opposte non è possibile evolvere. Il confort e il piacere rappresentano la morte in quanto non permettono all’individuo di andare avanti nella propria vita. Le difficoltà e i problemi sono, invece, la forza acceleratrice dell’evoluzione umana. Da qui apprendiamo che bisogna sempre affrontare il conflitto e solo in questo modo l’animo potrà crescere. La conoscenza divina e spirituale arriverà solo a colui che accetterà e capirà la natura del conflitto.

Fra queste due fazioni o forze opposte, c’è Lord Krishna che è il condottiero del carro. Il suo corpo è la biga, il cocchio, lui è l’anima interiore o il guru che può aiutare ogni uomo nel suo conflitto. Krishna non è direttamente coinvolto nella lotta ma sta dietro quella lotta, creando quel conflitto permette alla coscienza individuale di evolversi. Sulla base di questo contesto, dobbiamo comprendere la Gita.

Nella vita umana, una forza deve essere controllata mentre l’altra deve essere espressa. Il conflitto deve essere affrontato con un’aspirazione e un background yogico. L’unica cosa da fare quando si manifesta il conflitto è capirlo e iniziare a praticare yoga.

Lo yoga riguarda l’evoluzione della coscienza individuale dal livello più basso ad un piano più alto.

Lo yoga ha decisamente un inizio e progredisce in base all’evoluzione della coscienza ed esiste un momento in cui lo yoga raggiunge un apice che non è però un punto di arrivo.



sabato 5 ottobre 2013

Mirabai (seconda parte)

dagli insegnamenti di Swami Sivananda Saraswati


Re Akbar
Una volta, il re Akbar e il suo musicista di corte, Tansen, arrivarono a Chitore per ascoltare le canzoni devozionali di Mira. Entrambi entrarono nel tempio e si misero in ascolto di quelle canzoni che scuotevano l’anima.
Akbar rimase così coinvolto che prima di partire, toccò i piedi sacri di Mira e, come offerta, infilò al collo dell’idolo una collana di smeraldi. La notizia arrivò alle orecchie orecchie di Rana che si infuriò e ordinò a Mira di gettarsi nel fiume in quanto aveva disonorato ancora una volta la sua famiglia.

Salvata
Mira obbedì all’ordine del marito e andò al fiume per annegarsi. I nomi Govinda, Giridhari, Gopal rimasero sulla sua bocca. Appena alzò i piedi dal suolo, una mano la afferrò da dietro, si girò e vide il suo amato Krishna. Mira cadde in trance ma dopo pochi minuti aprì gli occhi e vide Lord Krishna sorridere.
Krishna le disse:”Mia cara Mira, la vita con il tuo marito mortale è sorpassata e adesso sei completamente libera. Sii felice, adesso sei mia. Vai subito per le strade di Vrindavan. Cercami lì, figlia mia. Fai presto!”. Poi, Krishna sparì.

Vrindavan
Mira accolse subito la chiamata divina e si avviò immediatamente camminando scalza sulla sabbia bollente del Rajastan. Lungo il viaggio, fu ospitata da donne, bambini e devoti. Raggiunse Vrindavan e trovò il suo suonatore di flauto (ndt: con Flute-bearer si intende Lord Krishna – “The Flute–bearer of Vrindavan) ) .
Ogni giorno mendicava per il cibo e celebrava la divinità nel mandir di Govinda che diventò un famoso luogo di pellegrinaggio. I devoti di Chitore arrivarono a Vrindavan per vederla. Arrivò anche Rana Khumba che si pentì per le sue gesta crudeli. Mira si prostrò davanti a lui.
Mira avrebbe voluto ricevere il darshan di Jivan Gosain, capo dei Vaishnavites di Vrindavan ma lui rifiutò perché non avrebbe mai permesso ad una donna di stare alla sua presenza.
Così Mira rispose:”Tutti sono donne a Vrindavan. Solo Giridhari Gopal è Purusha ma oggi vengo a sapere che c’è un altro Purusha oltre a Krishna”.
Jivan Gosain si vergognò di se stesso e comprese la grandezza di Mira, andò a vederla e le porse i suoi omaggi.

Immortale
La fama di Mira si spinse molto lontano tanto che molte principesse e regine iniziarono ad andare e venire nel luogo dove lei si trovava. Ranis, kumaris e maharanis (**vedi nota) erano già apparse sul palcoscenico del mondo ma erano sparite.
Perché solo la regina di Chitore viene allora  ricordata? E’ a causa della sua bellezza o per le sue capacità poetiche? 
No. E’ a causa della sua rinuncia, della sua devozione unidirezionale nei confronti di Lord Krishna e della sua realizzazione divina. Lei si trovò faccia a faccia con Krishna, parlò al suo amato e mangiò con Lui. Dal profondo del suo cuore, lei suonò la musica della sua anima, la musica del suo amore. Fece esperienza della suprema visione cosmica e vide Krishna negli alberi, nelle pietre, nelle rocce, nei fiori, negli uccelli e in tutti gli esseri. Fino a quando esisterà il nome di Krishna così esisterà il nome di Mira.
E’ estremamente difficile trovare un parallelo con la meravigliosa personalità di Mira, una santa, filosofa, poeta e saggia. La sua vita ha un fascino particolare, è bellezza e meraviglia. Era una principessa ma abbandonò i piaceri del lusso per una vita povera e austera. Anche se era una donna delicata, riuscì ad intraprendere il difficile sentiero dello spirito e si sottopose a diverse prove con un coraggio unico. Mira aveva una forza di volontà unica.
Le canzoni di Mira infondono fede, coraggio, devozione e amore di Dio, sono fonte d’ispirazione per chi si avvia sul sentiero della devozione, generano un brivido meraviglioso e sciolgono i cuori.

Nell’oceano dell’amore
Mira era senza paura, gioiosa, amabile, graziosa ed elegante. Non era interessata all’opinione pubblica o a quello che prescrivevano le scritture, lei non celebrava i rituali devozionali ma ballava nelle strade. Krishna era suo marito, padre, madre, amico, parente e guru.
Il profumo della devozione di Mira si sentiva da molto lontano. Tutti quelli che venivano in contatto con lei erano travolti da un’ondata d’amore. Il suo cuore era un tempio devozionale e il suo volto era il fiore di loto dell’amore divino. C’era gentilezza nella sua espressione, amore nei suoi discorsi, gioia nei suoi gesti, potere nelle sue parole e fervore nelle sue canzoni.
Le canzoni mistiche di Mira erano come un balsamo emolliente per i cuori infranti e i nervi scossi. La dolce musica delle sue canzoni dona un’influenza benigna agli ascoltatori, rimuove la discordia e la disarmonia e coccola nel sonno.
E’ così grande il potere dell’amore espresso nelle sue canzoni che anche i non religiosi e gli atei ne sono profondamente colpiti.
Il nome di Gridhari Gopal era sempre sulle labbra di Mira e anche nei sogni, lei viveva e riponeva il proprio essere in Lord Krishna.
Un simile stato di esaltazione non può essere adeguatamente espresso con le parole.
Mira era immersa nell’oceano dell’amore.

**il termine Rani può essere tradotto genericamente con Regina; con Kumari o Kumari-Devi si intende la tradizione di venerare ragazze pre-adoloscenti come manifestazione dell’energia divina femminile; il titolo Maharani viene attribuito alle mogli dei Maharaja o negli stati dove era possibile, alle donne che governavano.
Qui viene riportata un’interpretazione molto sintetica ma dietro questi termini si celano significati più complessi rappresentativi della vasta cultura e tradizione Hindu.

giovedì 26 settembre 2013

Mirabai

dagli insegnamenti di Swami Sivananda Saraswati

Mirabai è considerata una reincarnazione di Radha (*vedi nota). Nacque nel 1502 nel villaggio di Kurkhi nel Rajasthan. Era la figlia di Rathan Singh Ranthor, che, insieme a tutta la famiglia, era un grande devoto di Vishnu. Mira fu cresciuta con gli insegnamenti Vaishnava che influenzarono tutto il suo cammino sul sentiero di devozione nei confronti di Lord Krishna.

Infanzia
A quattro anni, Mira manifestò tendenze religiose e imparò ad onorare Krishna. Un giorno, davanti alla sua casa, passò una processione matrimoniale, vide la sposa tutta ben vestita e chiese innocentemente alla madre: “Mamma, chi sarà il mio sposo?”. La mamma sorrise e un po’ scherzando e un po’ seriamente, indicò l’immagine di Sri Krishna: “Mia cara Mira, Lord Krishna – quella bellissima immagine – sarà il tuo sposo”.
La giovane iniziò ad amare intensamente l’idolo di Krishna e a passare il suo tempo lavandolo e vestendolo. Onorava l’immagine, dormiva con lui, ci ballava intorno estasiata, le cantava delle bellissime canzoni e le parlava.

Familiari
Il papà di Mira organizzò il suo matrimonio con Rana Kumbha di Chitore. Mira fu una moglie devota che obbediva agli ordini del marito. Alla fine di ogni giornata, quando i doveri domestici erano terminati, andava al tempio di Lord Krishna e lo onorava cantando e ballando; l’immagine si alzava, la abbracciava, suonava il flauto e le parlava.
Alla suocera, chiacchierona e gelosa, non piaceva il comportamento di Mira e cercava di obbligarla a venerare la dea Durga ma lei non cedeva e rispondeva: “Ho già dato la mia vita al mio amato Lord Krishna”.
Sua cognata diede inizio ad una congiura contro di lei e iniziò a diffamarla dicendo a  Rana Kumbha che Mira era segretamente innamorata di atri e che lo aveva visto con i suoi occhi. Gli disse anche che gli avrebbe rivelato il nome degli amanti se lui fosse andato con lei al tempio di notte e che Mira stava disonorando la loro famiglia.
Nel cuore della notte, Rana spalancò la porta del tempio e corse dentro, trovando Mira estatica mentre parlava al suo idolo. Le domandò: “Mira, con chi stai parlando? Svelami il tuo amante”. Lei rispose:” Lì siede il mio Signore, il Navichora che ha rubato il mio cuore” e così dicendo, ricadde in trance.

Tortura
Mira fu perseguita da Rana e la sua famiglia in molti modi. Ricevette lo stesso trattamento che Prahlad ricevette da suo padre Hiranyakashipu. Lord Hari difese Prahlad così come il Signore Krishna rimase sempre al fianco di Mira.
Un giorno, Rana nascose un cobra in un cestino contenente una ghirlanda di fiori e lo spedì a Mira. Dopo aver fatto il bagno e aver onorato Krishna, lei lo aprì e ci trovò una bellissima statuina di Krishna immerso nei fiori.
Un’altra volta, Rana le mandò una tazza contenente veleno con un messaggio che diceva che era nettare. Come prima cosa Mira lo offri al Signore e poi lo consumò come Prasad e il veleno si trasformò in vero nettare. Ancora in un’altra occasione ricevette da Rana un letto di chiodi dove, dopo il rituale, Mira si coricò e questo divenne un vero letto di rose. (continua….)

Note:

*Radha. Presso la religione induista, Radha (o Radharani) è la consorte di Krishna (l'ottavo avatar di Visnu), nonché un'importante personificazione della Shakti, l'energia divina femminile. Nell'articolata simbologia induista, Radha rappresenta la totale devozione per Dio e l'abbandono incondizionato a Lui.

lunedì 9 settembre 2013

Ricreare un’immagine

Tratto da Le Vritti

di Swami Niranjanananda Saraswati

La mente lavora in tre modi. Possiede l’abilità di ricreare qualcosa ma quando le facoltà e le energie della mente sono dissipate, quello che ricreiamo nella nostra testa non sarà chiaro. Questa è conosciuta come immaginazione. Quando le facoltà diventano più rilassate e focalizzate, quello che ricreiamo assumerà una forma più limpida. Ci sarà un momento in cui non saremo in grado di capire se quello che vediamo internamente è differente da quello che vediamo esternamente.
Facciamo un esperimento.
Chiudete gli occhi.
Con gli occhi chiusi, pensate mentalmente ad un fiore, qualsiasi tipo di fiore, e cercate di vedere quel fiore nello spazio di chidakasha, lo schermo interno che sta davanti ai vostri occhi chiusi.
Semplicemente osservate il pensiero del fiore e quello che, nella vostra mente, state cercando di ricostruire. Potete vederlo chiaramente? No. Al momento lo state immaginando. State associando l’idea che avete del fiore legata ad un ricordo, ad una sensazione, un sentimento, un’emozione ma la chiarezza visiva non c’è ancora. Questa è immaginazione.
Ora, nel momento in cui sarete capaci di isolare la visione di un fiore dalle sovraimpressioni ed emozioni personali, gradualmente, sarete in grado di delineare i contorni dell’immagine e anche il colore o i colori del fiore.
Quando il fiore prenderà una forma definita, ci troveremo davanti ad un processo di visualizzazione e quando saremo in grado di dissociarci completamente dall’immagine mentale o dal concetto, quando quell’immagine non sarà influenzata dalle nostre proiezioni personali, si manifesterà in chidakasha con un’intensa consapevolezza. A questo punto inizia darshan, la capacità di vedere la realtà al di là delle imposizioni mentali.
Adesso potete aprire gli occhi.


I tre stati mentali
Dobbiamo sperimentare tre stati mentali: immaginazione, visualizzazione e darshan. In ogni stato, la qualità della mente cambia. Nell’immaginazione, ci sono le associazioni con le idee, gli eventi e i sentimenti. Nella visualizzazione, queste associazioni diminuiscono e rimane solo la consapevolezza. Quando tutte le associazioni cessano e la consapevolezza si intensifica, ecco che sperimentiamo darshan, la manifestazione del fiore dentro noi.
Per raggiungere questo livello, dobbiamo iniziare con le pratiche di base di pratyahara.
Pratyahara è lo sviluppo della consapevolezza, dharana è lo sviluppo dela concentrazione e dhyana è l’esperienza dell’unità, l’armonia interna e l’equilibrio.
Nella consapevolezza, c’è il riconoscimento delle attività interne del corpo, la dimensione dei sensi, il cervello, la mente conscia e subconscia, la presa coscienza delle associazioni che arrivano da tutte le aree della nostra vita. Quando sperimentiamo tutte queste attività, ci possiamo muovere verso il passo successivo, lasciare andare, imparare a rilassarci e non permettere alle reazioni mentali di venire a galla. Se riusciamo ad osservare le reazioni mentali, avrà inizio la terza fase di pratyahara.

Yoga Nidra e Antar Mouna
La prima fase di yoga nidra è pratyahara, l’espansione e la consapevolezza della personalità nel suo totale, non solo del corpo ma anche delle impressioni mentali e,possibilmente, anche dei samskara che sono profondamente impressi nella nostra mente.
Il processo di yoga nidra si divide in tre parti: yoga nidra pratyahara, yoga nidra dharana e yoga nidra dhyana.
Fino ad adesso abbiamo sperimentato le pratiche preliminari dello yoga nidra pratyahara che sono quelle descritte nei libri.
Nello yoga nidra dhyana, nidra, la vritti del sonno è trascesa o sublimata.
Nello yoga nidra dharana è invece sotto il controllo di chi pratica.
Lo yoga nidra pratyahara è il sonno senza sonno, dove sperimentiamo cosa ci sta succedendo, quindi questa pratica diventa una parte importante del pratyahara perché ci permette di lavorare sui diversi livelli della nostra personalità attraverso un ordine sistematico.
Sono sicuro che se praticate sinceramente yoga nidra, potrete far esperienza della profondità del rilassamento, della consapevolezza e dell’armonia mentale. Io non insegno meditazione a nessuno, soprattutto adesso che ci stiamo muovendo verso un nuovo modo di insegnamento attraverso l’università dello yoga.
La meditazione è un soggetto tabù e la preparazione alla meditazione viene fatta esclusivamente attraverso lo yoga nidra. Fino a quando yoga nidra non sarà perfezionato, non sarà possibile perfezionare pratyahara.
Per attivare questo perfezionamento, pratichiamo antar mouna dopo la sessione di yoga nidra.
Antar mouna, letteralmente, significa “silenzio interno”. E’ una tecnica con la quale possiamo osservare l’ attività mentale conscia attraverso l’osservazione del pensiero.
Le due tecniche messe insieme hanno a che fare con la mente superficiale. Lo yoga dice che ci sono due tipi di mente, la manifesta, superficiale, e l’immanifesta, la reale. La prima viene sperimentata in tutta la sua gloria e l’ego è la manifestazione finale. Questo ego è negativo quindi dobbiamo cercare di guardare a tutte le componenti della mente manifesta e dell’ego negativo ogni volta che pratichiamo yoga nidra e antar mouna.




giovedì 29 agosto 2013

Le Vritti

di Swami Niranjanananda Saraswati

Lo yoga nidra viene considerata una pratica di rilassamento,una pratica preliminare alla meditazione, ma è una semplice tecnica individuata per fare un’esperienza profonda della coesione della mente umana. Yoga Nidra è un marchio registrato da Satyananda Yoga. Che cosa fa? Ieri parlavamo dei concetti di pratyahara e gestione della mente. Lo scopo dell’ashtanga yoga è quello di diventare consapevoli della mente e gestire le diverse tendenze che vengono in superficie senza la nostra consapevolezza.
Queste attività che affiorano nella mente sono conosciute come vrittis. La parola “vritti” significa “un vortice”, un’attività circolare che non ha inizio e non ha fine. Lo yoga descrive cinque tipi di vrittis. Invece di andare a ricercare il significato di ognuna, dovremmo focalizzarci sulle componenti che formano ogni vritti.
La prima componente di una vritti è la comprensione. Abbiamo una comprensione parziale di come ci comportiamo e di come interagiamo nelle nostre vite. L’aspetto della comprensione è l’abilità di vedere in quale direzione stiamo andando.
La seconda componente è la reazione. Qui non c’è un giudizio logico ma una reazione spontanea alle cose esterne che producono piacere o dolore, felicità o frustrazione.
La terza componente di una vritti è la percezione. Percepiamo la condizione di una data situazione o di un ambiente sotto forme diverse. Questa, può essere colorata dai guna in maniera positiva, negativa o neutrale ma può anche essere colorata dalle nostre proiezioni, dal nostro ego, dalle nostre ambizioni. Di conseguenza vedremo il mondo sotto la variazione di colore generata dalla nostra percezione.
La quarta componente è la memoria o le impressioni ricevute che custodiamo nella nostra mente e che diventano le linee guida per i nostri comportamenti futuri.
Quindi, comprensione, reazione, percezione e memoria sono le quattro componenti delle vritti.

Armonizzare le vritti
Nella nostra mente, le vritti sono continuamente attive. Non sto parlando del conscio, del subconscio o dell’inconscio perché l’intensità di una vritti è diversa ad ogni livello. Cercheremo invece di osservare come le vritti condizionano l’intera mente. Per armonizzare, sublimare ed eliminare le vritti, dobbiamo seguire un processo, una sequenza.
Per prima cosa, dobbiamo sviluppare una consapevolezza oggettiva in modo da percepire esattamente cosa sta succedendo intorno a noi e dentro di noi senza esserne coinvolti. Diventando immuni alle attività delle vritti attraverso la consapevolezza è una prima forma di sadhana.
Secondariamente, dobbiamo imparare a lasciare andare, a rilassarci, a liberare lo stress che si è generato nella nostra mente, nel nostro corpo e nelle nostre emozioni senza però contrapporre un controllo conscio. Ogni evento della vita causa tensione; la tensione è anche il risultato naturale della vita. Nel momento in cui questa tensione aumenta, il comportamento della mente e del corpo ne viene negativamente influenzato. Imparare a rilassarsi e a gestire le tensioni esterne ed interne è il secondo sadhana.
Terzo, dobbiamo canalizzare la nostra creatività in modo che si manifesti attraverso il sankalpa. La canalizzazione è una comprensione conscia della positività della vita e lavorare per l’ottenimento di quella qualità positiva diventa anche la nostra principale direzione.
Come quarta cosa, dobbiamo sviluppare la concentrazione attraverso il processo di visualizzazione che è la parta più importante di ogni tecnica di pratyahara, inclusa yoga nidra. Come ci concentriamo? Come focalizziamo le nostre menti? Dobbiamo pensare ed intensificare un dato pensiero, dobbiamo diventare consapevoli di qualcosa e intensificare questa consapevolezza. Dobbiamo fissare la nostra mente su un particolare punto e cercare di intensificare la focalizzazione. Questo è il normale concetto di concentrazione – guardare qualcosa molto intensamente attraverso gli occhi della mente, e non permettere alla mente di andare a destra e sinistra. Dal momento che questo tipo di concentrazione può creare stress nella mente e nella personalità psichica dobbiamo considerare che comunque la concentrazione deve essere un’esperienza unidirezionale senza che si crei alcun tipo di reazione interna o tensione.

Immaginazione e visualizzazione
Per ottenere una concentrazione uniforme, omogenea e armoniosa, lo yoga utilizza delle tecniche di visualizzazione e immaginazione. L’abilità di visualizzare ed immaginare esprime effettivamente la forza della mente. Ci sono diverse forme di immaginazione. L’immaginazione può essere falsa o reale, fantasiosa o consapevole di qualcosa che esiste nella vita reale. Il più delle volte, cerchiamo di scappare dalla realtà creando un’immaginazione fantasiosa, non corrispondente al reale.. Questa forma di immaginazione non è accettata dallo yoga. Lo yoga dice, osserva la realtà e fai esperienza di quella realtà. L’esperienza della realtà si manifesta quando pratichiamo una concentrazione nella quale non c’è fluttuazione della mente. Ma come possiamo allenarci a focalizzare? Possiamo focalizzarci ripensando ad un’attività fisica e osservandola, ad un’attività mentale ed osservandola, o ricreando un’immagine mentale che ci aiuti a liberare un’impressione impressa nella nostra coscienza.
Per addentrarci in questo processo di visualizzazione, possiamo osservare le diverse parti del corpo e ricreare una loro immagine mentale. Possiamo osservare un’esperienza immagazzinata dentro noi sotto forma di un ricordo del passato. Non importa se quell’esperienza è stata fisica o mentale. L’esperienza del caldo e del freddo è un’esperienza fisica. L’esperienza del piacere, della soddisfazione, dell’appagamento e del divertimento è un’esperienza interna. L’esperienza del dolore e della sofferenza sono un’esperienza interna. Possiamo quindi far affiorare quell’esperienza sotto forma di immaginazione. 


martedì 20 agosto 2013

Sognare consciamente

Da “Sui Sogni “
Dagli insegnamenti di Swami Sivananda Saraswati
YOGA GOLDEN JUBILEE Year1 – issue 6 -  June 2012 pag. 22

Durante lo stato di sogno, l’anima dell’individuo non sa che sta sognando. Non è  consapevole di se stessa perché è legata dai gunas di prakriti; passivamente osserva le creazioni della mente sognatrice come effetto dei samskaras dello stato di veglia.

Durante lo stato di sogno è possibile rimanere coscienti del fatto che si sta sognando. Se si impara ad essere testimoni dei propri pensieri quando svegli, si può arrivare ad essere consapevoli anche nel sogno. Si possono alterare, fermare o creare i pensieri e di conseguenza rimanere svegli anche in questo stato.
Se si riesce a controllare i pensieri nello stato di veglia, li controlleremo anche nel sogno.

Il significato

Talvolta i sogni sono interessanti e si avverano, predicono eventi.
Il primo gennaio 1947, un signore di Haridwar sognò che sarebbe stato a Benares la notte del tre gennaio. Si rivelò vero. Un ufficiale sognò che era stato trasferito ad Allahbad e la stessa mattina ricevette l’ordine di trasferimento. Un’altra persona sognò che avrebbe avuto un incidente in macchina il sabato seguente e così accadde. Si può fare una corretta predizione riflettendo sui sogni.

Nessuno si conosce veramente se non ha analizzato i propri sogni. Lo studio dei sogni dimostra come sia misteriosa l’anima. I sogni rivelano l’aspetto della propria natura, quella che trascende la conoscenza razionale. Ogni sogno ha un significato.

Un sogno è come una lettera scritta in un linguaggio sconosciuto. Molti enigmi della vita si risolvono attraverso i suggerimenti forniti dai sogni.

I sogni indicano in quale direzione sta andando la vita spirituale di una persona.
Attraverso l’osservazione dei sogni, si può ricevere un consiglio adeguato per auto correggersi o per sapere come agire in una particolare situazione.

I sogni segnano un sentiero sconosciuto allo stato di veglia.
I santi e i saggi appaiono nei sogni durante i tempi difficili e ci mostrano la via.

La vera realtà

Chi pratica il Vedanta studia attentamente il sogno e il sonno profondo dimostrando in una maniera logica che lo stato di veglia è irreale tanto quanto quello del sogno. Dichiara che l’unica differenza fra i due stati è che la veglia è un sogno molto lungo, deergha swapna.
Fino a quando si sogna, gli oggetti dei sogni sono reali, quando ci si sveglia, il mondo dei sogni diventa falso. Con l’illuminazione o la conoscenza di Brahman, questo mondo di veglia diventa irreale come quello del sogno.
La verità è che non nessuno dorme, sogna e si sveglia perché non c’è realtà in questi tre stati.


Per questo vi invito a  trascendere i tre stati e rimanere nel quarto stato di turiya, la beatitudine eterna di Brahman. Rimanete in a, la vostra personale forma di verità, coscienza e felicità.